Scompenso cardiaco
11 Febbraio 2021Malattie cardiovascolari nella donna
11 Marzo 2021L’acido urico e i suoi effetti dannosi
L’acido urico, considerato in passato un antiossidante, oggi si è “trasformato” in un fattore di rischio, soprattutto a livello cardiovascolare. È un argomento, assieme alla gotta e all’iperuricemia, di cui si è parlato poco. Con il passare degli anni, grazie a studi e ricerche, è nata una nuova forma patologica: la “Iperuricemia Asintomatica”. L’acido urico rappresenta nell’uomo e nei primati il prodotto finale del catabolismo (l’insieme dei processi metabolici con i quali l’organismo scinde le molecole organiche complesse in molecole più semplici, liberando energia) delle purine; negli scimpanzé, per esempio, i livelli di acido urico variano da 3 a un massimo di 4 mg/dl. A questo punto, la domanda sorge spontanea: è la sedentarietà, o una dieta ricca di zucchero o sale, che determina l’iperuricemia nel mondo occidentale? I valori medi di uricemia in Occidente stanno crescendo gradualmente: l’uricemia, nei maschi americani, è cresciuta da meno di 3,5 mg/dl negli anni 20, a 6-6,5 mg/dl e sta ancora crescendo. I vantaggi che l’acido urico ha determinato nei primati sono legati in primis agli effetti sul sistema renina-angiotensina col risultato di alzare i livelli della pressione arteriosa, permettendo una posizione eretta. L’iperuricemia cronica con e senza deposito di urato: cos’è?
Potrebbe sembrare uno scioglilingua ma invece non lo è; per iperuricemia si intende l’aumento dei valori di acido urico nel sangue superiori alla norma. Il paziente che soffre di iperuricemia è colui che, dopo 5 giorni di dieta appropriata povera di purine (le purine sono sostanze organiche azotate presenti in tutte le cellule viventi; quelle più note sono le basi azotate adenina e guanina), abbia nel sangue valori di acido urico superiori a: 7 mg/dl se si tratta di un uomo, 6,5 mg/dl se si parla di una donna. Se vi è un eccesso di acido urico, ciò potrebbe provocare ipertensione e pre-ipertensione, malattie renali (compresa la ridotta percentuale di filtrazione glomerulare e la microalbuminuria), sindrome metabolica (compresa l’obesità addominale, l’ipertrigliceridemia, bassi livelli di colesterolo HDL, resistenza all’insulina, alterata tolleranza al glucosio, livello elevato di leptina), apnea ostruttiva notturna, malattie vascolari, ictus, demenza vascolare e pre-eclampsia. Se si superano i 9 mg/dl, bisogna intervenire con terapie farmacologiche, di cui parleremo tra poco. La presenza di iperuricemia, definita dal riscontro di livelli circolanti di acido urico maggiori di 6 mg/dl, rappresenta il prerequisito fondamentale per il deposito, a livello articolare e tissutale, di urato. L’iperuricemia aumenta lo stress ossidativo con flogosi (infiammazione) endoteliale e facilita l’aterosclerosi, resistenza insulinica con diabete e ipertensione.
Cause e conseguenze dell’iperuricemia
Come mai i pazienti di iperuricemia sono aumentati con il passare degli anni? Quali sono le cause? Una risposta potremmo trovarla nel fatto che vengono utilizzate diete squilibrate che contengono elementi in eccesso che inducono iperuricemia; tra questi elementi, ne ricordiamo tre in particolare e cioè le purine e le proteine, presenti nella carne, e il fruttosio, aggiunto alle bevande. Tra le cause potremmo annoverare, anche, l’aumento dell’alcolismo, dell’obesità centrale, della disglicemia (cioè un’anomalia nella stabilità dei valori della glicemia), del diabete mellito di tipo II, della dislipidemia (cioè un livello elevato di lipidi o un basso livello di colesterolo HDL), dell’ipertensione arteriosa, di una sindrome metabolica o di un’insufficienza renale cronica. Altri specialisti affermano che tra le cause potrebbe esserci anche l’invecchiamento della popolazione o un uso non conforme di farmaci, quali i diuretici e ASA (acido acetilsalicilico) a basso dosaggio. Per quanto riguarda le conseguenze di un’iperuricemia cronica, una di queste è la gotta, una malattia dovuta a un disordine del metabolismo delle purine che porta alla formazione di depositi di cristalli di acido urico, denominati tofi, in varie sedi, a livello articolare e nei tessuti extra-articolari. La gotta, ben conosciuta fin dall’antichità, illustrata da Ippocrate, Celso, Galeno e Svetonio che la definì “morbus dominorum” cioè “la malattia delle classi dominanti“, è descritta come la più comune artropatia infiammatoria nell’uomo e come causa d’infiammazione articolare nella donna, con una prevalenza che eccede quella dell’artrite reumatoide. È stata a lungo etichettata come “la malattia dei re e dei papi“, perché, evidentemente, si voleva sottolineare l’associazione con il tenore di vita così elevato, tale da consentire abitudini alimentari piuttosto ricche. Il livello dell’acido urico deve essere abbassato per migliorare, in modo significativo, i sintomi della gotta, con un target minore di 6 mg/dl come minimo, e spesso anche 5 mg/dl (target terapeutici delle Linee Guida Remautologiche), che è associata a un rischio più elevato di eventi cardiovascolari (la grande novità è che il dosaggio dell’acido urico è raccomandato anche dalle Linee Guida Europee della Società Europea di Cardiologia – ESC – e la Società Europea di Ipertensione – ESH – sull’ipertensione arteriosa).
Iperuricemia e malattie cardiovascolari
Il legame dell’iperuricemia con i fattori di rischio cardiovascolare classici rende difficile chiarire che ruolo abbia l’iperuricemia nella progressione della malattia cardiovascolare. L’iperuricemia causa alterazioni infiammatorie e ossidative negli adipociti (cellule adipose); inoltre, l’enzima xantina ossidoreduttasi, che trasforma la xantina in acido urico, è espressa negli adipociti e riveste un ruolo fondamentale nell’adipogenesi e nell’obesità. Il tessuto adiposo produce adipochine, tra cui la leptina, l’adiponectina, l’interleuchina 6 (IL-6) e il fattore di necrosi tumorale-α. L’aumento del volume degli adipociti, causato dall’accumulo di trigliceridi, provoca la morte per ipossia (carenza di ossigeno nel sangue); i macrofagi aggrediscono i vacuoli lipidici: questo provoca una rottura che favorisce il rilascio di sostanze ad azione pro-infiammatoria e pro-insulino resistenza. Il numero di macrofagi presenti nel tessuto adiposo è proporzionale all’ipertrofia degli adipociti; si ha così un’infiammazione cronica che causa malattie croniche. I sintomi più frequenti dell’iperuricemia sono dolori articolari, prurito, gonfiore/rossore delle articolazioni, coliche renali e insufficienza renale. L’iperuricemia è anche un marker prognostico indipendente nello scompenso cardiaco cronico e acuto. In uno studio sullo scompenso cardiaco acuto e la disfunzione sistolica, il valore elevato di acido urico si associava a un più alto rischio di morte. Di recente, l’iperuricemia è stata associata all’insorgenza di scompenso cardiaco in popolazioni adulte. Nel Cardiovascular Health Study, lo scompenso cardiaco iniziale si verificava nel 21% dei partecipanti con iperuricemia e nel 18% senza iperuricemia. Ogni incremento dell’acido urico di 1 mg/dl era associato ad un aumento del 12% di insorgenza di scompenso cardiaco. Nello scompenso cardiaco cronico, l’allopurinolo migliora la disfunzione endoteliale, la capacità di vasodilatazione periferica e la forza contrattile miocardica riducendo lo stress ossidativo. Nel OPT-CHF Study sono stati randomizzati soggetti in classe NYHA III-IV con frazione di eiezione inferiore al 40%; un gruppo è stato trattato con allopurinolo e un altro con placebo. L’allopurinolo aumentava la frazione di eiezione ventricolare sinistra e migliorava il quadro clinico nei pazienti scompensati con elevati valori di uricemia.
Terapia farmacologica e iperuricemia
Abbiamo detto che non vi sono certezze sul rapporto tra acido urico e problemi cardiovascolari, però, esiste l’opportunità di iniziare una terapia farmacologica ipouricemizzante a lungo termine solo nei pazienti con attacchi ricorrenti di gotta e con insufficienza renale. I farmaci utilizzati sono: allopurinolo e febuxostat. L’allopurinolo, un inibitore non selettivo della xantina-ossidasi, da solo rappresenta il 5% di tutte le SCAR (Severe Cutaneous Adverse Reactions). La dose iniziale deve essere di 100 mg, o minore in caso di insufficienza renale, presa a stomaco pieno; aumentarla di 100 mg ogni 2/4 settimane fino a 300 mg. Il passo successivo sarà quello di un controllo dell’uricemia dopo 2/3 mesi; se necessario, aumentare la dose fino al target (dose max 800mg). Mi raccomando: non iniziare il trattamento in caso di un attacco, in corso, di gotta acuta (lo stesso vale con il febuxostat)! Ridurre la dose in caso di insufficienza renale cronica (se la velocità di filtrazione glomerulare è inferiore a 60ml al minuto). Dopo aver raggiunto l’obiettivo di uricemia, si può ridurre la dose alla quantità relativa al mantenimento e cioè 100-200 mg/die nelle forme lievi; 300-600mg/die nelle forme moderate-gravi. Bisogna fare attenzione alla somministrazione dell’allopurinolo con altri farmaci; per esempio, se è associato all’azatioprina o alla mercaptopurina, si rende necessaria una riduzione del dosaggio a circa un terzo o un quarto di quello abituale; se si associa al dicumarolo, si prolunga l’emivita dell’anticoagulante; se è usato con farmaci uricosurici, l’aumentata escrezione urinaria dell’allopurinolo e del suo metabolita da parte degli uricosurici riduce il grado di inibizione della xantino-ossidasi. Ancora, se è associato a diuretici tiazidici, potrebbe esserci un aumento dell’emivita dell’allopurinolo; se è somministrato con clorpropamide, l’emivita plasmatica dell’ipoglicemizzante può essere prolungata poiché i due farmaci possono competere per l’escrezione nei tubuli renali; infine se è associato alla doxofillina e teofillina, la somministrazione con l’allopurinolo può aumentare le concentrazioni plasmatiche dei derivati xantinici. Per questi motivi, bisogna sempre tenere sotto controllo il monitoraggio, per evitare possibili reazioni cutanee, vasculiti da ipersensibilità o calcoli di xantina. Il febuxostat, invece, 10/30 volte più potente dell’allopurinolo, è un inibitore selettivo non purinico della xantina ossidasi e riduce la formazione di acido urico. Scarse sono le interazioni con altri farmaci. Somministrare con una dose di 80 mg e controllare l’uricemia dopo un mese; se il target non viene raggiunto, aumentare la dose a 120 mg; una volta raggiunto, è possibile ridurla a 40 mg (meglio 1 compressa a giorni alterni). È utilizzato in caso di metabolismo epatico (UDPGT e CYP450) e non è necessario modificare la posologia in caso d’insufficienza epatica o renale; ridurre la dose, invece se l’insufficienza renale cronica è grave (GFR <30).
Conclusioni
Ultime accortezze prima di concludere: dosare con attenzione l’uricemia nei pazienti con fattori di rischio cardiovascolare, cardiopatia accertata o sospetta; utilizzare i livelli di uricemia nell’interpretazione fisiopatologica del quadro clinico e nella stratificazione prognostica; considerare l’uricemia un target di interventi terapeutici, farmacologici e non, al pari dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolari; infine, perseguire nel tempo il target terapeutico raccomandato (minore di 6 mg/dl) e non limitarsi semplicemente a un farmaco ipouricemizzante.
La scienza è riuscita a risolvere il dilemma dell’uovo e della gallina; speriamo che venga risolto anche il problema dell’acido urico, in modo tale da avere un impatto positivo sul modo in cui vengono trattati milioni di persone con malattie cardiometaboliche.