Scompenso cardiaco: cos’è?
Avete presente quel momento in cui il cuore, incapace di contrarsi (sistole) e di distendersi (diastole) non riesce più a pompare, in maniera efficace e con la giusta pressione, quella quantità di sangue adeguata alla necessità dell’organismo? Ecco, quel momento è chiamato scompenso cardiaco, o insufficienza cardiaca (di solito, è associato a un senso di stanchezza e al fiato corto). Il cuore si adatta ai bisogni metabolici dell’organismo grazie alla
combinazione di vari fattori, quali pre-carico, inotropismo (cioè la capacità del miocardio di contrarsi), post-carico e frequenza cardiaca – il pre-carico e il post-carico sono termini che si riferiscono alla pressione atriale e al lavoro cardiaco. La riduzione della frequenza cardiaca nei pazienti con scompenso cardiaco potrebbe ridurre la mortalità; per questo motivo, la frequenza cardiaca non è più un semplice marcatore della malattia, ma un fattore di rischio modificabile che può avere un impatto sulla prognosi del paziente. Ridurre la frequenza cardiaca in uno scompenso cardiaco significa migliorare l’efficienza cardiaca e ha effetti anti-ischemici (come il consumo di ossigeno da parte del miocardio). Inoltre, la riduzione della frequenza cardiaca con l’ivabradina, di cui parleremo dopo, previene gli eventi cardiovascolari avversi (in particolare le ospedalizzazioni) e migliora la qualità di vita e la funzione ventricolare sinistra; nei pazienti con frequenza cardiaca maggiore uguale a 75bpm, l’ivabradina riduce tutti gli endpoint principali. Lo scompenso cardiaco è un problema da non sottovalutare, perché, al giorno d’oggi, si sta imponendo come una delle maggiori cause di malattie cardiovascolari, ed è sempre più in aumento. La prevalenza dello scompenso cardiaco, soprattutto nel mondo occidentale, è del 2% – in Italia riguarda più di un milione di casi – e l’incidenza è di uno/due casi nuovi ogni 100.000 abitanti, nella fascia d’età fra 40/50 anni. Sia la prevalenza che l’incidenza aumentano con l’età: dopo i 70 anni, la prevalenza è del 10% e l’incidenza è di 10/15 nuovi casi all’anno ogni 1000 abitanti. Lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica complessa che rappresenta il punto evolutivo finale di patologie cardiache, inizialmente anche molto differenti fra loro sia dal punto di vista eziologico (cioè diretto all’individuazione delle cause) che fisiopatologico.
Lo scompenso cardiaco è un argomento/problema che ha bisogno di essere approfondito in modo adeguato. L’enorme impatto epidemiologico dello scompenso cardiaco, associato anche alla scarsa consapevolezza e alla scarsa conoscenza, porta inevitabilmente a una gestione del problema insoddisfacente con un conseguente impatto sociale severo (alta mortalità ed elevata morbilità) e a un severo impatto economico (continue ospedalizzazioni). Proviamo, in questa sede, a definirne e delinearne meglio almeno gli aspetti più importanti. Dal momento che vi è una minor portata cardiaca, cioè la quantità di sangue che il cuore riesce ad assicurare, l’organismo si adatta privilegiando alcuni organi, come il cervello e il cuore, rispetto ad altri, come muscoli, intestino o reni; ciò, quindi, ha delle serie ripercussioni sulla qualità della vita. Vorrei precisare una cosa, però, e cioè che parlare di scompenso cardiaco non significa asserire che il cuore non stia funzionando, ma vuol dire che l’organo cardiaco sta lavorando male, in maniera inefficace. Il cuore di un individuo con scompenso cardiaco, il cosiddetto “scompensato“, presenta un miocardio debole o troppo rigido, che gli impedisce di funzionare correttamente.
Scompenso cardiaco: analizziamo i diversi tipi
Esistono, secondo i cardiologi, diversi tipi di scompenso cardiaco: parliamo di scompenso cardiaco sinistro e di scompenso cardiaco destro, di scompenso cardiaco diastolico e di scompenso cardiaco sistolico. Per quanto riguarda lo scompenso cardiaco sinistro, il ventricolo sinistro non è in grado di pompare in modo efficace il sangue nell’aorta, cioè l’arteria principale del corpo umano (ricordiamo, per chi non lo sapesse, che dall’aorta dipende l’ossigenazione dell’intero organismo); di conseguenza, il sangue va a finire nei polmoni, provocando dispnea, o fiato corto, e/o edema polmonare. Quindi, in presenza di scompenso cardiaco sinistro si ha una riduzione dell’attività ventricolare sinistra. Per quanto riguarda lo scompenso cardiaco destro, invece, il ventricolo destro non è capace di far entrare, prontamente e in modo giusto, il sangue nelle arterie polmonari. Quali sono le conseguenze? Mancata ossigenazione del sangue a livello polmonare (lo scompenso cardiaco destro potrebbe essere una conseguenza dell’ipertensione polmonare). In presenza di uno scompenso cardiaco sinistro o destro, si può verificare sia uno scompenso cardiaco diastolico e sia uno scompenso cardiaco sistolico: il primo, quello diastolico, con alterazione del rilasciamento e del riempimento ventricolare, si ha quando il miocardio, la “pompa” del cuore o muscolo cardiaco, non riesce ad allargarsi per accogliere il sangue e si caratterizza per un inefficace riempimento ventricolare; il secondo, quello sistolico, invece, si caratterizza per un’inefficace funzione di pompa ed è causato dal fatto che il cuore non riesce più a contrarsi, conseguente alla cardiopatia ischemica o da un sovraccarico di volume e/o di pressione, con compromissione della contrazione e dell’eiezione ventricolare. La funzione sistolica è quella più frequentemente compromessa rispetto alla diastolica e comporta
un aumento della pressione atriale sinistra e della pressione capillare polmonare, causando
congestione polmonare e dispnea. Il cuore, mediante l’atrio e il ventricolo destro, riceve il sangue venoso dalla periferia e lo immette nella circolazione polmonare per l’ossigenazione, mentre, con l’atrio e il ventricolo sinistro, lo “lancia” nell’aorta e nelle arterie, trasportando ossigeno e nutrienti a tutti gli organi. La funzionalità del ventricolo sinistro viene espressa sulla base della frazione d’eiezione, un valore che esprime la percentuale di sangue che, a ogni contrazione del ventricolo sinistro, viene espulsa nell’aorta. Si distinguono così: lo scompenso cardiaco a frazione d’eiezione conservata, lo scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta e lo scompenso cardiaco a frazione d’eiezione intermedia.
Cause e sintomi dello scompenso cardiaco
Lo scompenso cardiaco si può verificare, per esempio, successivamente a un infarto del miocardio (cardiopatia ischemica), a causa della cicatrice dell’intervento che potrebbe non permettere al muscolo cardiaco di non funzionare correttamente. Uno scompenso cardiaco potrebbero essere causato, inoltre, anche da un accumulo di sostanze nelle pareti del cuore o un ispessimento di esse, da un’ipertensione arteriosa controllata in modo non corretto, da un’insufficienza della valvola mitralica, che provoca un riversamento del sangue dal ventricolo all’atrio sinistro, o di quella aortica, che ostacola la fuoriuscita del sangue, da una miocardite, infiammazione/infezione del muscolo cardiaco e infine, dal malfunzionamento di una valvola, con conseguente insufficienza valvolare (rigurgito) o restringimento della stessa (stenosi). Quali sono, invece, i sintomi di uno scompenso cardiaco? Non sempre è possibile riconoscerli subito. Lo scompenso cardiaco, se si verifica in modo acuto o cronico, comporta una dispnea, che può verificarsi anche dopo essersi messi a letto (ortopnea) e che si fa via via più grave e può portare a un edema polmonare acuto. Altri sintomi sono l’affaticamento, a causa del misero flusso di sangue nei tessuti e negli organi periferici, l’astenia, cioè una fiacchezza persistente e un’accelerazione della frequenza cardiaca.
Qual è la terapia da adottare in caso di scompenso cardiaco?
Lo scompenso cardiaco può essere trattato farmacologicamente, con i diuretici (diuretici dell’ansia), che migliorano i sintomi e i segni della congestione; però il loro effetto sulla progressione della malattia non è ancora stato accertato; con i betabloccanti che riducono lo stimolo dell’adrenalina e che controllano la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca (attenzione a non prescriverli in caso di broncopneumopatia cronica ostruttiva, di ipotensione, di asma e di affaticamento); con gli ACE inibitori, grazie ai quali sono stati riscontrati benefici su mortalità, morbilità e qualità di vita e sono utili nel rallentare il progredire della malattia; con gli MRA, gli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi, cioè con gli antialdosteronici, raccomandati in tutti i pazienti sintomatici, nonostante trattamento con gli ACE inibitori e i betabloccanti, e sono diuretici che fanno risparmiare potassio e contribuiscono alla riduzione della fibrosi del muscolo cardiaco; con gli ARNI (Angiotensin receptor neprilysin inhibitor), antagonisti del recettore della neprilesina e del recettore dell’angiotensina, che rappresentano la prima grande innovazione terapeutica nel campo dello scompenso cardiaco cronico da almeno 15 anni a questa parte in quanto consentono di potenziare gli effetti del sistema dei peptidi natriuretici, mantenendo contemporaneamente l’inibizione del sistema renina angiotensina; con gli antagonisti recettoriale dell’angiotensina II o sartani (gli ARBs – Angiotensin II receptor blockers). Vorrei che ci soffermassimo, infine, su due nuove terapie e cioè l’ivabradina e l’Entresto. L’ivabradina è un farmaco bradicardizzante puro che agisce inibendo i canali ionici If (corrente “funny”) del nodo seno atriale, già in uso in Europa dal 2012 e approvato dalla statunitense Food and Drug Administration (FDA) nel 2015, attualmente approvato nei pazienti con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta che presentano uno scompenso cardiaco sintomatico, un ritmo sinusale normale e una frequenza cardiaca maggiore di 70 battiti al minuto, nonostante la terapia medica che deve comprendere i beta-bloccanti. I pazienti che possono trarre beneficio da ivabradina sono quelli con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta che hanno sintomi NYHA (New York Heart Association) classe II o classe III e frequenza cardiaca maggiore di 70 battiti al minuto (la dose iniziale di ivabradina è di 2,5-5 mg per via orale per 2 volte al giorno e la dose massima è di 7,5 mg per 2volteal giorno). Vorrei evidenziare che se il paziente fosse bradicardico, bisogna sospendere la terapia con l’ivabradina. L’Entresto è un medicinale che contiene i principi attivi sacubitril e valsartan. Il primo blocca la scissione dei peptidi natriuretici, i quali sono responsabili del passaggio di sodio e di acqua nelle urine, riducendo così lo sforzo del cuore, riducono la pressione arteriosa e proteggono il cuore dallo sviluppo di fibrosi; il secondo, invece, inibisce l’azione di un ormone noto come angiotensina II, bloccandone gli effetti nocivi sul cuore.
Profilo paziente PARADIGM-HF
Come si può notare dall’immagine sotto allegata, è evidente che l’efficacia di sacubitril/valsartan derivi dal PARADIGM-HF, studio di confronto tra sacubitril/valsartan ed enalapril, condotto su pazienti con scompenso cardiaco cronico in classe NYHA II-IV e con frazione di eiezione minore o uguale al 35%. È stato introdotto un nuovo criterio che stabilisce la presenza di valori di plasma B-type Natriuretic Peptide (BNP) maggiori o uguali a 150 pg/mL – o di N-Terminal pro-BNP (NT-proBNP) maggiori o uguali a 600 pg/mL – oppure, nel caso in cui i pazienti fossero stati ospedalizzati per scompenso cardiaco nei 12 mesi precedenti, di valori BNP maggiori uguali a 100 pg/mL – o maggiori o uguali a 400 pg/mL di NT-proBNP. Per essere inclusi nello studio, i pazienti dovevano essere stati in terapia con ACE inibitori o sartani, con pressione arteriosa sistolica (PAS) maggiore o uguale a 100 mmHg o con una filtrazione glomerulare (eGFR) maggiore o uguale a 30 ml/min/1,73 m al quadrato di superficie corporea, con potassio sierico minore o uguale a 5,4 mmol/L, o con anamnesi negativa di angiodema. Si evince che, rispetto a enalapril, che rappresenta la terapia standard dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta, c’è stata una riduzione del 20% della mortalità cardiovascolare, del 21% di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e del 16% della mortalità per tutte le cause.
Conclusioni: scompenso cardiaco e prevenzione
Vorrei concludere dicendo poche ultime cose; nel caso in cui la terapia farmacologica non sia sufficiente, è doveroso contattare il proprio cardiologo che potrà consigliarvi una terapia elettrica, attraverso l’utilizzo di pacemaker biventricolari CRT-P o di defibrillatori biventricolari CRT-D, con lo scopo di risincronizzare il muscolo cardiaco. Per quanto riguarda un migliore stile di vita, dopo aver assunto, meticolosamente, la terapia consigliata e dopo averla migliorata con l’aiuto del cardiologo, è consigliabile fare attenzione ad alcuni accorgimenti, come evitare alimenti troppo salati, magari con una dieta iposodica, perché vengono trattenuti liquidi; limitare l’assunzione di caffeina e di alcool; smettere di fumare; controllare ogni giorno il peso corporeo (prendere chili in poco tempo può essere un segnale d’allarme) e la pressione arteriosa e, di conseguenza, anche i battiti del cuore; fare un’adeguata e moderata attività fisica (delle passeggiate tutti i giorni, per esempio); non sottovalutare le vaccinazioni (come il vaccino antinfluenzale o l’antipneumococcica). Insomma, prendetevi cura di voi stessi!
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