Non so quanti di voi si siano chiesti cosa sia la fibrillazione atriale. Siete mai riusciti a darvi una risposta esaustiva? Oggi proveremo a eliminare i vostri dubbi, ma prima di farlo, occorre dire qualcosa sul cuore, perché non è scontato che tutti sappiano come sia fatto e come funzioni uno degli organi vitali del nostro corpo.
Allora… il cuore è composto da quattro camere:
Gli atri raccolgono il sangue che ritorna al cuore attraverso le vene, per poi passare nei ventricoli. Il ritmo inizia nel nodo del seno cardiaco, una piccola parte del sistema neuro-elettrico cardiaco, che ha lo scopo di regolarne il battito. Potremmo dire, semplicemente parlando, che il nodo del seno è il pacemaker naturale del cuore. Qui, si dà inizio a un’attività elettrica che passa dagli atri e attraversa il “nodo atrioventricolare”. Da questo nodo, l’onda si diffonde verso i ventricoli, che si contraggono per pompare sangue nel corpo. Le vene polmonari sono vasi che trasportano il sangue dai polmoni verso l’atrio sinistro. La maggior parte dei pazienti ha quattro vene e il collegamento di queste vene con l’atrio sinistro può presentare proprietà elettriche anomale che causano la fibrillazione atriale. Ed eccoci qui, al punto di partenza.
La fibrillazione atriale è un disturbo del ritmo cardiaco, che ha origine negli atri e provoca un ritmo irregolare e spesso rapido. A causa di questa irregolarità, la contrazione diminuisce, causando un rallentamento o addirittura un “ristagno” del flusso del sangue. La fibrillazione atriale interessa il 2% della popolazione italiana ed è la più comune causa evitabile di ictus che, se causato da una fibrillazione atriale, ha una maggiore possibilità di rendere il soggetto invalido e può addirittura portare alla morte. Esistono tre diversi tipi di fibrillazione atriale:
La risposta è affermativa; sì, c’è una terapia; anzi ce ne sarebbe più di una. Vediamo quale sia la più efficace e quali siano le differenze. Prima, però, vorrei sottolineare il fatto che la terapia con anticoagulanti va impostata a prescindere dal numero di episodi già documentati o dal tipo di fibrillazione atriale. Almeno un quarto degli episodi, infatti, sono asintomatici e nel 50% dei casi si assiste al ripristino spontaneo del ritmo sinusale entro le prime 6 ore. Ancor più rilevante, la mortalità dei pazienti diagnosticati al primo episodio è superiore rispetto ai pazienti con fibrillazione atriale parossistica definita o persistente.
Passiamo alle terapie:
Gli AVK sono farmaci anticoagulanti orali anti-vitamina K e sono composti a basso peso molecolare; derivano dalla Cumarina (dicumarolo) e vengono assorbiti rapidamente e facilmente, se somministrati per via orale.
I DOAC Apixaban (Eliquis), Dabigatran Etexilato (Pradaxa), Edoxaban (Lixiana/Roteas) e Rivaroxaban (Xarelto), invece, sono molecole di sintesi. Si tratta di farmaci maneggevoli, con notevole facilità di impiego, in quanto vengono usati a dose fissa e non richiedono monitoraggio di laboratorio, se non in particolari occasioni. Sono anticoagulanti orali ad azione diretta, perché agiscono inibendo nel plasma il singolo fattore (Xa) o la trombina.
Fino a qualche anno fa, la terapia anticoagulante con AVK è stata l’unico aiuto terapeutico per la riduzione del rischio trombo-embolico. Con l’introduzione dei DOAC, sono stati ottenuti risultati diversi. Rispetto alla terapia convenzionale con AVK, il rischio combinato di ictus ed eventi embolici si è ridotto del 19%, mentre il rischio di morte è diminuito del 10%. Risultati più che positivi. I DOAC, precedentemente denominati nuovi anticoagulanti orali (NAO), hanno dimostrato di essere più efficaci e sicuri dei tradizionali farmaci antagonisti della vitamina K e hanno portato vantaggi per il paziente.
Il fine dei NAO è quello di garantire una scoagulazione stabile, evitando il monitoraggio. In più, sono preferibili perché vengono ridotte le interazioni con gli altri farmaci e con la dieta. Esistono eccezioni? Sì, certo e bisogna fare attenzione! I pazienti che soffrono di fibrillazione atriale associata a stenosi mitralica moderata e/o severa o protesi meccanica non possono essere trattati con i DOAC, che si sono dimostrati, al momento, inferiori rispetto agli AVK.
Analizziamo un po’ nel dettaglio cosa può succedere dopo la somministrazione degli anticoagulanti. Il timore delle complicanze emorragiche correlate all’uso della terapia anticoagulante è stato e continua a essere un ostacolo alla corretta prescrizione di questa terapia. La principale conseguenza è il sottoutilizzo della terapia con una conseguente riduzione della protezione del rischio tromboembolico. Inoltre, una non corretta interpretazione dei trials, combinata alla percezione esagerata del rischio emorragico durante trattamento con DOAC, ha portato all’eccessivo utilizzo di basse dosi di farmaco. E per quanto riguarda gli antidoti dei DOAC? Al momento l’unico disponibile è quello del dabigatran, l’idarucizumab, un anticorpo monoclonale che annulla gli effetti del dabigatran, normalizzando i parametri della coagulazione. L’utilizzo dell’antidoto va considerato anche per
La terapia anticoagulante orale è indicata nella maggioranza dei pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare. Vanno, però, esclusi gli uomini con CHA2DS2-VASc 0 e le donne con score uguale a 1. Bisogna fare attenzione alle procedure chirurgiche. Il paziente che deve essere sottoposto a chirurgia elettiva (intervento differibile di 12-24 ore) deve sospendere la terapia con i DOAC. I fattori da valutare sono:
L’indicazione all’uso dei DOAC pre-cardioversione è stata confermata. È necessario accertarsi della conformità alla terapia da parte del paziente in quanto non è possibile monitorizzare l’attività anticoagulante con il laboratorio. Per quanto riguarda l’ablazione trans-catetere, le Linee Guida raccomandano la terapia con AVK non interrotto con ACT maggiore di 300”. Probabilmente, ci sarà una revisione delle Linee Guida, considerando che sono già disponibili i dati (a favore dei DOAC non interrotti) del VENTURE AF e del RE-CIRCUIT.
L’associazione fibrillazione atriale e cardiopatia ischemica è correlata a una peggiore prognosi in termini di mortalità ed eventi emorragici e ischemici. Per ridurre il rischio di emorragie, si preferisce procedere con l’approccio radiale durante le procedure percutanee, oltre a minimizzare la durata della triplice terapia. La terapia anticoagulante (DOAC o AVK) nella cardiopatia ischemica stabile è protettiva e non necessita di ulteriori aggiunte di terapie antiaggreganti. La triplice terapia raddoppia il rischio di sanguinamento rispetto alla duplice. È ragionevole pensare che i vantaggi dei DOAC sugli AVK siano mantenuti anche nella duplice e nella triplice terapia. Dopo la dimissione, un’alternativa alla triplice terapia può essere quella duplice senza DOAC nei casi in cui sia presente negli uomini e nelle donne, per la presenza di cardiopatia ischemica associata ad alto HASBLED.
L’embolia sistemica rappresenta la complicanza della cardioversione della fibrillazione atriale ed è dovuta alla mobilizzazione di emboli da trombi atriali. Quindi, è raccomandato l’uso della terapia anticoagulante orale dose-adjusted (range INR 2-3) prima della cardioversione elettrica, tenendo presente che i trombi si formano e si embolizzano nelle prime 72 ore dalla procedura. Tutto ciò è stato confermato dall’ecocardiografia trans-esofagea. È stato anche dimostrato che, anche nel periodo immediatamente successivo alla cardioversione elettrica, parliamo di 4 settimane dopo, c’è il rischio che possano formarsi trombi atriali, in seguito alla disfunzione contrattile atriale. È bene, quindi, continuare il trattamento anticoagulante orale, dopo il ripristino del ritmo sinusale, per almeno un mese e da continuare in caso di recidive asintomatiche della fibrillazione atriale.
Volendo sintetizzare un po’ quello che ci siamo detti fino a ora, potremmo concludere dicendo che:
Ah, ultima cosa, mettete un like alla mia pagina facebook cliccando qui https://www.facebook.com/dottoressaciccarone.it Grazie. A presto.
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