Gravidanza e malattie cardiovascolari
30 Marzo 2021Inibitori PCSK9
7 Maggio 2021C’è un legame tra malattie cardiovascolari e colesterolo nel sangue? Se fosse così, quale sarebbe? Domande lecite di una persona con livelli alti di colesterolo. Occorre, dunque, specificare prima qualcosa proprio sul colesterolo. Tutti, o quasi, sappiamo cosa sia; ma siete sicuri di ciò che conoscete? Sapete che è molto pericoloso e che non va sottovalutato?
Il colesterolo: cos’è?
Il colesterolo appartiene alla famiglia dei lipidi (grassi) e si trova nel sangue e nei tessuti. È importante
- sia per la formazione delle cellule sane
- sia perché, in presenza di livelli alti, rappresenta uno dei rischi maggiori per le malattie cardiovascolari.
Il colesterolo in eccesso, infatti, causa il deposito di grasso sulle pareti delle arterie, restringendole, provocando, così, infarto e ictus, perché il sangue non riesce più a passare. Questo è ciò che si intende per aterosclerosi e può portare alla formazione di placche che ostacolano il passaggio del sangue.
Tipi di lipoproteine
Il colesterolo arriva nelle lipoproteine. Conosciamo due tipologie:
- le lipoproteine a bassa densità o LDL (Low Density Lipoprotein, il c.d. colesterolo “cattivo“), che trasportano l’eccesso di colesterolo dal fegato alle arterie e lo rilasciano nei vasi sanguigni
- le lipoproteine ad alta densità o HDL (High Density Lipoprotein, il c.d. colesterolo “buono“), che favoriscono l’eliminazione del colesterolo dal sangue
Rapporto tra HDL e LDL
Il rapporto tra colesterolo HDL e LDL va controllato con attenzione. Dalla somma di LDL e HDL si ottiene il colesterolo totale, diagnosticato solo attraverso esami del sangue. Il “colesterolo alto” o “ipercolesterolemia” è un valore di colesterolo totale, nel sangue, superiore a 240 mg/dl. Ci sono alcuni individui predisposti a sviluppare l’ipercolesterolemia: si parla di “ipercolesterolemia ereditaria o familiare“. Per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari è importante ridurre il colesterolo con attività fisica, relax e una dieta equilibrata.
Colesterolo: fattori di rischio
I fattori di rischio cardiovascolare si dividono in
non modificabili (età, sesso maschile e familiarità)
modificabili, attraverso cambiamenti dello stile di vita o mediante assunzione di farmaci (es. ipertensione arteriosa, abitudine al fumo, diabete mellito, ipercolesterolemia).
Elevati livelli plasmatici di colesterolo totale e di colesterolo LDL rappresentano uno dei maggiori fattori di rischio cardiovascolare.
Colesterolo e malattie cardiovascolari: vari studi
Studi osservazionali e di intervento hanno confermato che le anomalie del metabolismo lipidico giocano un ruolo cruciale nel determinare malattie cardiovascolari.
In America
Dai dati dell’American Heart Association (AHA), si riscontra che negli Stati Uniti il 75,7% dei bambini e il 46,6% degli adulti mostrano livelli di colesterolo considerati ideali (colesterolo totale minore di 170 mg/dl per i bambini e minore di 200 mg/dl per gli adulti).
In Italia
I dati italiani del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (Cnesps) dell’Istituto Superiore di Sanità confermano un’elevata prevalenza di ipercolesterolemia; in base ai dati raccolti dal Progetto CUORE 4, che misura i fattori di rischio cardiovascolare in campioni di popolazione adulta (uomini e donne fra i 35 e i 74 anni), il 21% degli uomini e il 23% delle donne è ipercolesterolemico (ha cioè un valore di colesterolemia totale maggiore o uguale a 240 mg/dl), mentre il 37% degli uomini e il 34% delle donne è in una condizione definita “borderline” (colesterolemia totale compresa fra 200 e 239 mg/dl). Nella popolazione anziana, di età compresa fra 65 e 74 anni, il 24% degli uomini e il 39% delle donne sono ipercolesterolemici; il 36% degli uomini e il 38% delle donne è borderline.
Cholesterol Treatment Trialists’ (CTT) Collaboration
È stato osservato, inoltre, che a ogni riduzione dei livelli di colesterolo LDL corrisponde una significativa riduzione della mortalità cardiovascolare e del rischio di infarto miocardico non fatale, come è stato documentato da uno degli studi del Cholesterol Treatment Trialists’ (CTT) Collaboration, che ha dimostrato anche che la terapia farmacologica ipocolesterolemizzante, per ogni ulteriore riduzione di 1 mmol/L di colesterolo LDL, riduce di circa un quinto il rischio di infarto, rivascolarizzazione coronarica e ictus ischemico.
Colesterolo e target terapeutici
Le nuove raccomandazioni sulla gestione dei livelli di colesterolo per la riduzione delle malattie cardiovascolari nell’adulto, rilasciate dall’American College of Cardiology (ACC) e dall’AHA, hanno suscitato discussione sulle modalità di trattamento dei pazienti con anomalie del profilo lipidico. È consigliata la misurazione dei lipidi a inizio di un trattamento e, ogni anno seguente, per verificare se c’è stata o meno una riduzione percentuale dei livelli di colesterolo LDL.
Adult Treatment Panel (ATP) III
Per l’Adult Treatment Panel (ATP) III, però, l’approccio al trattamento ipolipemizzante deve essere basato sull’utilizzo di target terapeutici che consistono, per il colesterolo totale plasmatico in livelli minori di 5 mmol/L e per il colesterolo LDL in livelli minori di 3 mmol/L. Nei pazienti
- con un rischio cardiovascolare moderato si deve mirare al raggiungimento del livello di colesterolo LDL minore di 3 mmol/L.
- ad alto rischio cardiovascolare, l’obiettivo terapeutico per il colesterolo LDL è rappresentato da valori minori di 2,5 mmol/L.
- con rischio cardiovascolare ancora più alto, quali quelli con sindrome coronarica acuta, è raccomandato un obiettivo di colesterolo LDL minore di 1,8 mmol/L o una riduzione del colesterolo LDL del 50%.
Perché questo approccio ha fatto discutere?
Perché il Panel che ha redatto le più recenti Linee Guida ACC/AHA sul trattamento dell’ipercolesterolemia, nel 2013, ha messo in discussione la strategia di utilizzo dei target terapeutici, concludendo che il loro impiego non è basato sull’evidenza. Per contro, numerosi esperti sostengono che gli obiettivi terapeutici lipidici sono in grado migliorare l’esito del trattamento quando vengono applicati durante il follow-up nei pazienti ad alto rischio. Nonostante queste divergenze, l’approccio statunitense basato sul calcolo del rischio e quello europeo-canadese basato sui target lipidici potrebbero essere complementari.
Statine e rischio cardiovascolare
Trial di vaste dimensioni hanno valutato l’impatto della terapia ipocolesterolemizzante in pazienti con e senza malattie cardiovascolari manifesta. È stato evidenziato come il grado di riduzione del rischio procede parallelo alla riduzione del colesterolo LDL (studi come MRC/BHF, PROSPER, ALLHAT e ASCOT-LLA hanno insegnato come a ogni 1% di riduzione dei livelli di colesterolo LDL corrisponda una riduzione del rischio relativo a eventi cardiovascolari maggiori dell’1%). I livelli “obiettivo” di colesterolo LDL sono correlati con il rischio cardiovascolare del paziente e prevedono una strategia ipolipemizzante basata sull’impiego delle statine (punti cardine della terapia ipocolesterolemizzante) in monoterapia.
E se gli obiettivi non venissero raggiunti?
In caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, si adotta la terapia di combinazione di statine con altri farmaci ipocolesterolemizzanti, con particolare riferimento a ezetimibe. Numerosi studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di ezetimibe (10 mg al giorno), all’aumentare del 15% – 26% dell’effetto ipolipemizzante di qualsiasi statina. Questo approccio consente di portare e mantenere un maggior numero di pazienti a quei valori soglia di colesterolo LDL raccomandati.
SHARP (Study of Heart and Renal Protection)
Lo studio SHARP (Study of Heart and Renal Protection), condotto in 9270 pazienti (di cui 3023 dializzati) trattati con la combinazione ezetimibe + simvastatina 10/20 mg contro placebo, ha documentato una riduzione sia degli eventi vascolari maggiori sia degli eventi aterosclerotici maggiori. Le statine riducono i valori di colesterolo LDL mediante l’inibizione della 3-idrossi-3-metilglutaril-coenzima A (HMG-CoA), un enzima chiave. Numerosi trial clinici ne hanno dimostrato l’efficacia nel ridurre, in pazienti con e senza precedenti eventi
- i livelli di colesterolo LDL
- la morbilità e mortalità cardiovascolare
Le statine sono in grado di abbassare i livelli di colesterolo LDL dal 20% al 55% a seconda del dosaggio e della “potenza” della statina somministrata, con un effetto dose-risposta lineare. I livelli di colesterolo LDL si riducono del 6% ogni volta che la dose di statina viene raddoppiata, e l’effetto massimo sui livelli plasmatici di colesterolo viene raggiunto dopo 15 – 30 giorni dall’inizio del trattamento.
Statine e rischio cardiovascolare: novità
Un’importante novità è rappresentata dai risultati recentemente pubblicati dello studio IMPROVE-IT (Improved Reduction of Outcomes: Vytorin Efficacy International Trial) che ha testato l’ipotesi “The Lower is Better”, ovvero che più basso è il livello raggiunto di colesterolo LDL, più si riducono gli eventi.
The Lower is Better
Sono stati arruolati 18 144 pazienti colpiti da recente sindrome coronarica acuta, reclutati entro 10 giorni dal ricovero
- per infarto miocardico acuto
- per episodio di angina instabile
Sono stati trattati con
- l’associazione ezetimibe (10 mg) + simvastatina (40 mg)
- simvastatina (40 mg) da sola
Ezetimibe e statina
I pazienti trattati con statina ed ezetimibe hanno presentato una significativa riduzione dei livelli di colesterolo LDL rispetto ai pazienti trattati con la sola simvastatina.
Risultati IMPROVE-IT
I risultati dello studio IMPROVE-IT indicano che i pazienti con un livello di colesterolo LDL considerato già a target (in media 69 mg/dl), se portati a livelli ancora inferiori, beneficiano di un’ulteriore significativa riduzione degli eventi. È confermata, così, la teoria “The Lower Is Better” per quanto riguarda il colesterolo LDL e gli eventi cardio-cerebrovascolari. Inoltre, è stata dimostrata anche l’importante riduzione degli ictus ottenuta attraverso un ulteriore abbattimento dei livelli di colesterolo LDL. Ricordo che fino a oggi, il principale fattore di rischio per ictus era stata l’ipertensione arteriosa, e non i livelli di colesterolo.
Statine: le aree di grigio e i problemi irrisolti
Nonostante le statine siano considerate la terapia di prima scelta, alcuni pazienti rimangono a rischio ancora molto elevato anche dopo una terapia intensiva. Solo il 30% – 70% dei soggetti ad alto rischio raggiunge il livello di colesterolo LDL ottimale (minore di 70 mg/dl).
EUROSPIRE I II III
I dati europei forniti dal confronto sul trattamento con ipolipemizzanti negli studi EUROSPIRE I, II e III indicano che l’utilizzo dei farmaci ipolipemizzanti rimane modesto e nelle categorie ad altissimo rischio (pregressi rivascolarizzazione coronarica o infarto miocardico acuto) supera appena il 50%. L’adesione al trattamento con statine risulta critica. Più del 50% dei pazienti ne abbandona l’utilizzo in modo appropriato dopo 3 – 6 mesi dall’inizio della terapia, con conseguente rischio cardiovascolare. Diverse sono le cause:
- molteplicità delle terapie concomitanti
- fattori genetici
- reazioni avverse
EAS
Le statine sono considerate farmaci sicuri e ben tollerati. Secondo il documento di consenso della European Atherosclerosis Society (EAS), negli ultimi 10 anni, studi osservazionali hanno attribuito reazioni avverse sfavorevoli associate all’uso di statine che vanno
- dai disturbi muscolo-scheletrici
- al disagio gastrointestinale
- alla stanchezza
Questi studi evidenziano come sino al 75% dei pazienti interrompe l’assunzione della terapia entro i primi 2 anni.
Qual è il motivo?
Quello principale è la comparsa di reazioni avverse in larga prevalenza. La mancata aderenza/interruzione della terapia possono avere un forte impatto sul beneficio cardiovascolare. Allo stesso modo, una metanalisi ha mostrato un rischio cardiovascolare inferiore del 15% nei pazienti che erano aderenti alle statine rispetto a quelli con bassa aderenza.
SAMS: sintomi muscolari associati alle statine
La stragrande maggioranza dei casi riportati di intolleranza alle statine si riferisce a quelli con una sintomatologia muscolare (Statin-Associated Muscle Symptoms, SAMS). La diagnosi di miopatia indotta da statine risulta difficile perché non vi è consenso unanime. La sua segnalazione è soggettiva e influenzata dalle comorbilità.
Miosite: reazione avversa
Le statine possono, inoltre, causare una reazione avversa nota come miosite, sintomo muscolare associato a valori elevati di creatinchinasi sierica (CK), rilasciato dalle cellule muscolari danneggiate. Dal 7% al 29%, i pazienti presentano SAMS. Questi sono di solito associati a concentrazioni di CK normali o leggermente elevate. Il consensus panel dell’EAS ha avanzato una proposta operativa che prevede di valutare la presenza di SAMS utilizzando sintomi, livelli di CK e “drug re-challenge” e propone la flow-chart (diagramma di flusso) nell’intento di individuare i “veri” intolleranti alle statine. Alcune categorie di pazienti che raggiungono gli obiettivi terapeutici suggeriti dalle Linee Guida internazionali, mostrano il persistere di un rischio residuo di eventi decisamente elevato; infatti, in alcuni studi sulle sindromi coronariche acute che utilizzano terapia statinica intensiva, l’incidenza di eventi cardiovascolari è rimasta elevata.
Uso limitato delle statine
In ultima analisi, un ulteriore emergente problema in grado di limitare il beneficio potenziale delle statine in ampie fasce di pazienti, è costituito dal rischio di sviluppare diabete connesso all’impiego di tali farmaci. Questo rischio, collegato all’utilizzo di statine, aumenta con la dose. Vi sono 13 studi condotti con statine, che coinvolgono 91140 pazienti, di cui 4278 (2226 in terapia con statine e 2052 controlli) hanno sviluppato diabete mellito durante un periodo medio di 4 anni di osservazione. La terapia con statine è stata associata a un aumento del rischio del 9% di diabete incidente (odds ratio – rapporto di probabilità 1,09; intervallo di confidenza 95% 1,02 – 1,17).
Conclusioni
È evidente che le statine non rappresentano la soluzione universale al problema dei livelli elevati di colesterolo. Un rischio cardiovascolare inaccettabile penalizza ancora i pazienti che mostrano mancata aderenza al trattamento. Anche in una percentuale non trascurabile di pazienti con ipercolesterolemia, in cui la terapia sia ben condotta, il rischio rimane elevato. Infine, una frazione di soggetti trattati con statine sviluppa una condizione di rischio cardiovascolare in grado di vanificare il potenziale beneficio derivante dalla riduzione dei livelli di colesterolo. Finito. Ah. Ultima cosa: mettete un like alla mia pagina facebook cliccando qui https://www.facebook.com/dottoressaciccarone.it Grazie. A presto.